La storia non è un progresso. La storia è una catapulta a lunga gittata, che scaglia i suoi effetti, positivi e negativi, a decenni di distanza. Quando piove merda, si può essere certi che arriva da lontano. Quella che ci ha sommersi con la pandemia proviene dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando è iniziato l'attuale ciclo neoliberale (il golpe cileno ancor prima, poi l’affermazione del thatcherismo e del reaganismo sono gli spartiacque che segnano l’inizio dell’epoca presente). I suoi tratti sono ovviamente il libero mercato e le sue virtù, l’individualismo sfrenato, il successo individuale come architrave di un modello di società che colpevolizza il fallimento; in una parola, la generalizzazione del modello delle democrazie di mercato; e, ancora, la progressiva ritirata della Politica, sempre più efficacemente esautorata dal potere tecno-fnanziario. Parallela alla ritirata della Politica è quella del pubblico, travolto dagli interessi privati, colonizzato dalle logiche private. I settori che ne hanno fatto maggiormente le spese sono l’istruzione e la sanità. E, con essi, i livelli di democrazia reale.
La penetrazione del racconto neoliberale tra le masse assuefatte all'ideologia di mercato è profondissima. La narrazione di fondo prevede che tutto dipenda unicamente dai comportamenti individuali virtuosi. Parole come "resilienza" formano l'ossatura semantica di questo discorso edificante, che si lega alla nozione di un progresso inteso sostanzialmente come progresso civile, del tutto epurato dalla questione sociale, dal conflitto.
In questo modo, per esempio, l’obiettivo della parità di genere e della fine delle discriminazioni viene legato esclusivamente ad una presa di consapevolezza culturale, all’estirpazione delle residue sacche di ignoranza. La marcia trionfale verso l’uguaglianza, insomma, è a portata di mano, e se questo obiettivo viene ritardato ce la possiamo prendere con i soli responsabili, ossia i retrogradi, certissimi che noi siamo seduti dalla parte giusta. Che non possa essere semplicisticamente così dovrebbe essere chiaro, eppure in molti non trovano di meglio che contribuire a reiterare questa retorica condita di asterischi, ripetendo le veline del politicamente corretto (e votando i partiti di sistema di pseudo-sinistra come “male minore”).
La fondamentale natura dei problemi, economica e di classe, viene incessantemente occultata o ridimensionata, anche grazie al dispiegamento dei mezzi senza precedenti a disposizione dell’ideologia mercatista e globalista, che dispensa con efficacia inedita mezzi di distrazione e di partecipazione effimera (rete e social, che non sono alternativi alle logiche della televisione, bensì le prolungano rendendole al contempo disponibili in un formato personalizzabile e decentrato); le prospettive di riscatto individuale e di ascesa sociale sono così convogliate verso quegli stessi strumenti che ingenerano le odierne forme di dominio, alienazione, mercificazione.
Il neocapitalismo digitale è oggi in fortissima espansione, è stato rafforzato dalla pandemia ed è nelle condizioni migliori per consolidare la propria egemonia. Anche sul piano della questione ambientale si preferisce raccontare che la sua salvaguardia dipende fondamentalmente dai comportamenti individuali. Ovviamente il massimo sforzo di dirottamento verso il livello individuale delle vere responsabilità è stato profuso in quest’anno di pandemia. Si è iniziato da subito a costruire un largo spazio narrativo che, di fronte al disastro, che è l’esito di un intero modello di sviluppo e che, come detto, viene da molto più lontano, tende a traslare le responsabilità sul piano individuale, sui comportamenti virtuosi, esaltati, nobilitati e posti dall’informazione mainstream in modo reiterato di fronte a quelli viziosi, fino al parossismo.
In questo modo, si provvede a traslare sul piano individuale le responsabilità imputabili a precisi indirizzi politici, quelli sistematicamente applicati secondo il modello egemone da quattro decenni a questa parte, a cominciare dal disinvestimento nella scuola pubblica e dai tagli indiscriminati alla sanità pubblica.
(2 aprile 2021)
[fonte immagine: Starting Finance]
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