Alla massima proliferazione dei concorsi letterari, e di poesia in modo particolare, corrisponde il massimo del logoramento, dell’abuso, o dell’uso strumentale, della ridondanza e dell’insignificanza delle parole. E ovviamente il minimo storico di importanza della poesia. Una risposta sarebbe quella di non partecipare ai concorsi letterari, di mandarli deserti, ma ovviamente la piccola vanità è una grande leva che garantisce grandi numeri.
Quel che è certo è che il recupero dell’importanza delle parole non passerà per i concorsi letterari, che con rare eccezioni servono a far ingrassare gli organizzatori, né per i social, dove le parole si accalcano in un gioco a somma zero e vengono usate a scopo commerciale secondo meccanismi opachi agli utenti.
La ritrovata importanza delle parole passa solo per una riconciliazione del pensiero con l’azione, la cui separazione, già storicamente realizzata, è stata ulteriormente accentuata dall’egemonia digitale nell’epoca presente. Il pensiero deve preparare l’azione. E le parole a far da tramite. Detto altrimenti, esiste un nesso non immediato, ma inscindibile tra poesia e rivoluzione.
[fonte immagine: borderline © n.c. /AndriaLive.it]
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