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Immagine del redattorepier paolo caserta

L'inconsapevole ma sostanziale maschilismo di certo pseudo-femminismo


Alle giovani donne non si deve chiedere di eccellere a tutti i costi sopravanzando "il maschio", altrimenti non si combatte, bensì si riconfema il pensiero unico incentrato sulla competizione a tutti i costi.


Sono un più che convinto femminista. Proprio in quanto tale rilevo che esistono frange e atteggiamenti non irrilevanti del femminismo che sono a) sessiste b) in definitiva maschiliste e c) per quanto precede, completamente deleterie per la causa che dovrebbero difendere. Credo che ciascuno dei tre punti meriti qualche chiarimento.


Condivido tutti gli assunti e i presupposti alla base della lotta femminista e della sua perdurante necessità: gli squilibri hanno radici profonde e non sono stati superati, il problema persiste ed è anzi tutto culturale. In Italia, in particolare, dove il problema si salda strettamente al cattolicesimo, che da sempre teme il femminino come il peggiore dei mali, esistono ancora sacche ataviche di maschilismo. Il nostro modello complessivo di civiltà è maschilista e patriarcale e bisogna che tutti ci sforziamo di modificarlo nel senso dell’uguaglianza nella diversità.


Tutto questo lo dico io. Io sono femminista!


Io sono femminista punto. Quello che segue non lo dico perché “sono femminista ma”, lo dico perché <sono femminista e proprio perciò!>. Esistono infatti alcuni diffusi atteggiamenti e forme del pensiero di parte sedicente femminista che oggi nuocciono profondamente, a mio avviso, alla causa del femminismo, e che io chiamo perciò pseudo-femminismo.


Dopo aver dunque detto quanto sopra e venendo al punto: a) Mi sembra indubbiamente una forma di sessismo l’atteggiamento, non infrequente (sebbene riguardi probabilmente il terreno del rapporto tra i sessi più che i movimenti), di riversare su ogni maschio <solo perché maschio> la colpa di una lunga storia di maschilismo, che ripeto è indubbia. Ma sfortunatamente il revanscismo generico (che rappresenta oggi una delle linee di tensione nel rapporto tra i sessi) non produce mai molto di buono: tra i suoi peggiori difetti c’è quello di essere sempre mal direzionato, di dirigersi puntualmente verso l’oggetto sbagliato, in questo caso persone, per esempio incolpevoli uomini fatti colpevoli di essere maschi. Così succede che le colpe le paghi chi non ha commesso il fatto. Questo si risolve in un complesso di atteggiamenti, che trovo non infrequenti e che mettono capo nel loro insieme ad una forma di sessismo che non procede dal <maschio> alle donne (maschilismo) bensì dalle donne al maschio (e per la quale non disponiamo nemmeno di un nome). Sono del parere che come tutti i fenomeni sociali vada a-valutativamente rilevato, osservato e descritto. Credo anche che sia principalmente da leggere come un effetto di sovracompensazione dovuto al lungo e persistente squilibrio maschilista. In ogni caso, va rilevato e va contrastato, perché rispondere a sessismo con altro sessismo è non solo inutile e controproducente, prende anche a bersaglio incolpevoli. Non si affronta il realissimo problema del maschilismo incendiando la guerra tra sessi e combattendola a tutto campo dalla casa all’ufficio, facendo fuoco a grappolo su falsi bersagli e innocenti.


b) Il punto precedente sarebbe, comunque, ancora il meno. La parte peggiore è l’inconsapevole ma sostanziale maschilismo di quelle frange del femminismo che fanno ruotare il perno delle loro rivendicazioni ed istanze non sull’uguaglianza nella diversità, ma sulla invocata superiorità del sesso femminile. Questo è un fatale errore e un autogol per la causa della lotta femminista. Così, si chiede alla donne e alle giovani donne di eccellere, di farsi strada a tutti i costi, di sgomitare, di sopravanzare il maschio perché questo è ed è sempre stato il loro destino negato. In questo modo non ci si oppone al pensiero unico, tutto al contrario lo si riconferma, perché quel modello ha uno dei suoi cardini nel culto esasperato della competizione. In questo modo si chiede alle giovani donne di essere migliori degli uomini, di farsi strada nel lavoro, oppure di essere madri e di saper conciliare, ma una donna che non ottenga brillanti risultati lavorativi, o che scelga di non lavorare, e che non voglia nemmeno avere figli, allora cosa diventa? Non incomberà su di lei il peso della mortificazione individuale che il pensiero unico incessantemente produce e alimenta? Non si ricade forse esattamente nella stessa trappola dalla quale ci si vuole liberare, nel momento in cui si chiede alle donne e alle giovani donne in particolare in sostanza di eccellere, di essere le migliori?

Forse dovremmo riflettere seriamente sul fatto che il pensiero unico, patriarcale e iper-competitivo, lo si scardina se si “chiede” a chiunque, uomo o donna che sia, di non dover essere proprio nulla, non necessariamente; nulla se non ciò che liberamente decide di essere, auto-determinandosi appieno, fuori da un modello di pensiero che non chiede altro se non di essere individui atomizzati pronti a cannibalizzarsi gli uni con gli altri e a spendere nel frattempo, e che impone opzioni di scelta pre-stabilite; dunque attingendo alternative esterne a quel modello, che allora bisogna cercare costantemente di proporre, battendo nuove strade. Non è libertà scegliere tra bianco e nero, è libertà aprire la propria vita sull’intera gamma dei colori, rifiutando quella scelta preimpostata. Allora forse non si risponde chiedendo alle donne, e in particolare alle giovani donne, di avere a tutti i costi successo e più successo dei maschi, ma dicendo a tutti, giovani uomini <e> giovani donne, che il culto del successo è il cardine di un sistema che produce ingiustizia e sofferenza, e molto vantaggio per pochi; e che questa rotta va invertita prima che ci porti al disastro.


c) Penso che il punto c) risulti a questo punto sufficientemente argomentato in forza dei primi due.


Per queste ragioni, la lotta femminista non deve isolarsi e allo stesso tempo non deve essere lasciata da sola. Può esprimere il suo volto migliore e necessario, come anche in passato, soltanto saldandosi ad altre fondamentali istanze di giustizia ed equità sociale, configurando nel suo insieme una critica organica e complessiva perché solo in questo modo si può rispondere ad un pensiero unico che, proprio come atomizza l’individuo, è interessato a parcellizzare anche le istanze critiche che gli si oppongono, garanzia massima della loro inefficacia. Occorre, invece, riguadagnare un terreno di analisi critica globale, nel quale la lotta femminista è al suo posto, ma saldandosi con una visione chiaramente e consapevolmente conflittualistica della società; e strutturandosi concettualmente contro il dominio della tecnica, non meno che contro ogni forma di razzismo, di neofascismo e, alla radice, di pensiero unico fascistizzante. Solo in questo modo la lotta femminista è lotta per i diritti di tutti, e viceversa.

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