"I problemi del Cile si possono risolvere"
L’Unidad Popular di Salvador Allende
L’11 settembre del 1973, Salvador Allende, che era in carica da circa tre anni, avendo vinto nel 1970 le elezioni presidenziali cilene alla guida di una coalizione di centro-sinistra formata da socialisti, comunisti e cattolici, venne rovesciato da un violento colpo di Stato ordito dai militari con la collaborazione dei servizi segreti degli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti, dunque, fomentarono e sostennero finanziariamente il colpo di Stato che portò al potere il generale Augusto Pinochet, che inaugurò una feroce e sanguinaria dittatura e restò al potere per quasi 17 anni, fino al 1990.
L’”altro 11 settembre” è un evento dirompente, epocale. Bisogna ogni volta constatare, riflettendo su quanto puntualmente accade in occasione delle commemorazioni per l’11 settembre, che quello del 2001 ha una netta preponderanza; è quello che viene universalmente celebrato, è quello più presente nell’immaginario di tutti, è quello dei due 11 settembre che si ricorda di più: l’attentato terroristico alle Twin Towers. Tutti sanno di cosa si parla, quando si parla dell’11 settembre 2001, non così per l’11 settembre 1973.
Eppure, è ragionevole affermare che dei due 11 settembre il più importante sia quello del 1973. Più importante in che senso? Sono ovviamente entrambi due eventi di vasta magnitudine storica, ma quello del 1973 ha probabilmente un valore periodizzante maggiore, come direbbero gli storici. L’11 settembre 1973 inizia un’epoca, inizia con molta probabilità l’epoca nella quale viviamo a tutt’oggi. In altre parole, il mondo cambiò l’11 settembre del 1973 più radicalmente di quanto non sia cambiato l’11 settembre 2001.
Ovviamente i due 11 settembre non dovrebbero essere giocati l’uno contro l’altro. Non ce n’è motivo, è giusto ricordarli entrambi, ma è un dato di fatto che uno prevalga scalzando l’altro, tanto che ogni volta sono in pochi, al di fuori dell’area politico-culturale che ad Allende si richiama, a ricordare il golpe cileno. Diventa allora legittimo chiedersi perché questo accada, se, come ritengo, quello del 1973 sia, nella sua portata storica, il più importante dei due.
È, questa, una questione preliminare rilevante da affrontare. Qualcuno potrebbe in prima battuta suggerire che si ricorda meglio l’11 settembre 2001 perché è più recente e, quindi, ci tocca più da vicino. Credo, tuttavia, che questa sia solo una parte secondaria della risposta. La vera ragione va ricercata nel fatto che i due 11 settembre sono portatori di due narrazioni molto diverse e per molti aspetti antitetiche. L’attacco terroristico alle Twin Towers vede infatti gli Stati Uniti come vittime; e li rappresenta giustamente in questo modo, perché non c’è dubbio che siano stati vittime di un crimine di una gravità inaudita, costato la vita a quasi tremila persone. Ciò non toglie che l’attacco alle Twin Towers sia stato con il senno di poi – ma forse lo si doveva vedere anche con il senno di allora – utilizzato come pretesto al suo posto per avviare, sotto l’ombrello della cosiddetta “lotta al terrorismo internazionale”, una guerra o un ciclo di guerre collegate, dapprima il conflitto afghano, poi l’invasione dell’Iraq del 2003, dietro il pretesto delle armi di distruzione di massa mai trovate. A distanza di dieci anni si è rivelato per quello che era, cioè appunto un pretesto. Ma pazienza se anni dopo viene fuori la verità, perché, come è noto, i pretesti servono a fare le guerre “qui e ora”, subito. Troppo difficile, dopo, invertire la poderosa inerzia dei conflitti bellici, prima che i loro devastanti effetti si siano dispiegati. Tanto bastò, dunque, per scatenare la guerra, con tutti i lutti che ne conseguirono e i lauti vantaggi, come sempre, per pochi.
L’11 settembre 2001, dunque, colloca gli Usa al centro di una narrazione che li pone non soltanto come vittime – e ripetiamo, questo è indiscutibile – ma anche in certo modo come i capifila di un sistema di valori da difendere energicamente nella misura in cui l’Occidente può essere rappresentato sotto attacco.
Ecco, l’11 settembre 1973 racconta una storia molto diversa, perché gli Stati Uniti non vi svolsero il ruolo di vittime, ma di carnefici.
Bisogna ovviamente tenere presente la cornice storica per dar conto delle ragioni per cui l’11 settembre 1973 la traiettoria politica e umana di Salvador Allende, che aveva vinto democraticamente le elezioni del 1970 alla guida di una coalizione di forze di sinistra e di centro-sinistra (compresi i cattolici ago della bilancia), l’Unidad Popular, con un vasto programma di riforme orientate in senso socialista, venisse arrestata con brutale violenza. È presidente Richard Nixon e Segretario di Stato Henry Kissinger. Il clima internazionale e la politica estera degli Stati Uniti erano mutati rispetto all’età di Kennedy, il quale aveva promosso ideali che si erano espressi tra l’altro nell’Alleanza per il progresso, un piano di aiuti per l’America Latina che aveva l’obiettivo di favorire uno sviluppo più equilibrato e anche in parte una revisione dei rapporti tra gli Stati Uniti e l’America Latina. Tuttavia, vi si enunciava anche che “per evitare infiltrazioni comuniste anche i regimi dittatoriali devono essere tollerati e aiutati”. Al principio degli anni Settanta, a Washington dominava ormai l’idea che la formazione di governi di stampo socialista nei Paesi dell’America Latina, dall’inizio del Novecento considerata il “cortile di casa”, fossero da evitare ad ogni e qualsiasi costo e che fossero ad essi preferibili governi amici, anche se dittatoriali, corrotti e sanguinari. Questa dottrina, irrigidita nello spregiudicato pragmatismo di Nixon e Kissinger, trovò paradigmatica applicazione nel golpe cileno del 1973.
Allende era in carica da circa mille giorni e aveva attuato una parte coerente di quel programma che tre anni prima lo aveva portato a vincere le elezioni. Nel 1973 aveva già nazionalizzato le banche; aveva attuato una riforma agraria che prevedeva l’esproprio dei latifondi e la distribuzione delle terre ai contadini. E, ancora, aveva annunciato un progetto di nazionalizzazione delle miniere di rame, risorsa strategica del Cile che era stata fino a quel momento sotto la gestione e il controllo delle multinazionali statunitensi. Due gruppi in particolare, Kennecott e Anaconda, gestivano quasi la totalità del settore della produzione del rame.
Allende, dunque, annunciò la nazionalizzazione delle miniere di rame e cadde vittima del colpo di Stato che gli costò la vita. Non soltanto il ruolo chiave degli Stati Uniti nel golpe è passato in giudicato dinnanzi al tribunale della Storia, ma è dimostrato anche come da tempo gli Stati Uniti investissero molti soldi nelle campagne elettorali cilene per orientarle. Così come è chiaro che l’intento di Nixon non fosse legato ai risultati dell’azione politica di Allende, ma ne prescindeva, fin dall’inizio del suo mandato presidenziale (lo chiarisce a dover Jesus Manuel Martinez nel suo Salvador Allende. L’uomo. Il politico, tradotto in italiano per i tipi di Castelvecchi). Come ebbe a dire Kissinger commentando il risultato delle elezioni: “Non vedo alcuna ragione per cui a un Paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”.
La cronologia della mattina dell’11 settembre 1973 ci restituisce la realtà di un colpo di Stato in presa diretta, perché Allende inviò fino all’ultimo momento messaggi radiofonici al suo popolo cileno. La mattina dell’11 settembre 1973 la Moneda, il palazzo presidenziale, venne accerchiato, con Allende all’interno. Con lui ci sono anche pochi uomini della sua guardia personale, tra cui il futuro scrittore Luis Sepúlveda, scomparso nel 2020 per covid. Il palazzo venne bombardato dall’aviazione e dai carri armadi. Allende preferì suicidarsi piuttosto che cadere nelle mani dei golpisti. Sul suicidio furono anche sollevati dubbi. Qualcuno avanzò l’ipotesi che Allende sia stato assassinato. Oggi il suicidio non sembra controverso, ma io credo cambi poco: Allende è stato ucciso, è stato rovesciato con un violento e sanguinario colpo di Stato che portò al potere il generale Augusto Pinochet, inaugurando una feroce dittatura. Pinochet fece sistematicamente ricorso ad arresti arbitrari, torture e assassinii. Restituì ai grandi proprietari le terre che Allende aveva confiscato per distribuirle ai contadini. Ovviamente questa e altre misure rendono immediatamente il senso della discontinuità con Allende. Non per caso, in campo economico Pinochet si affidò ai Chicago Boys, un gruppo di giovani economisti cileni favorevoli alla drastica riduzione della spesa pubblica e a politiche antisindacali.
Leggendo il programma politico di Unidad Popular si vede bene come Allende avesse una chiara e profonda comprensione della composizione delle forze sociali e dei conflitti di classe: “Il Cile vive una profonda crisi che si manifesta nel ristagno economico e sociale, nella miseria generalizzata e nei continui rinvii opposti alle rivendicazioni degli operai, dei contadini e delle altre classi sfruttate, così come nelle crescenti difficoltà degli impiegati, dei professionisti, dei piccoli e medi imprenditori, e nelle misere prospettive offerte ai giovani e alle donne. I problemi del Cile si possono risolvere. Il nostro Paese dispone di grandi ricchezze, come il rame e altri minerali, di un grande potenziale idroelettrico, di vaste estensioni di territorio boscoso, di un litorale esteso (…), può contare inoltre sulla volontà di lavorare e di progredire dei cileni (…) che cosa, dunque, non ha funzionato? Ciò che ha fallito in Cile è un sistema che non corrisponde alle necessità del nostro tempo. Il Cile è una paese capitalista dipendente dall’imperialismo, internamente dominato dai settori della borghesia strutturalmente legati al capitalismo straniero che non possono risolvere i problemi fondamentali del paese, la cui matrice risiede proprio nei loro interessi di classe ai quali giammai rinunceranno volontariamente. Inoltre, come conseguenza stessa dello sviluppo del capitalismo mondiale, l’integrazione della borghesia monopolista nazionale nell’imperialismo sta aumentando progressivamente e accentuandosi ogni giorno di più la sua dipendenza, il suo ruolo di socio minore del capitale straniero. Per alcuni, pochi, vendere quotidianamente un pezzo di Cile costituisce un ottimo affare. Decidere per gli altri è ciò che fanno tutti i giorni (...)”.
Credo che questo passaggio del programma di Unidad Popular (1970, estratto nella traduzione offerta in Salvador Allende, La via cilena al socialismo. Scritti e interventi di un presidente democratico, Pgreco edizioni, 2013) meritasse di essere riportato per esteso. In realtà l’intero programma di Unidad Popular ha moltissime indicazioni da offrire nella fase attuale. Se il golpe cileno è alle origini dell’epoca presente, questo accade perché – come Allende chiarisce benissimo, una volta ancora, nel suo ultimo discorso radiofonico al popolo cileno – esso poggiò sull’alleanza tra le forze esterne e quelle interne che vollero abbattere il presidente Allende. Le forze esterne sono costituite dal grande Capitale straniero, quelle interne dalle componenti più reazionarie e dalle classi sociali dominanti alleate del capitalismo statunitense.
L’11 settembre del 1973 è dunque al principio dell’epoca presente, riconoscibile come epoca dell’egemonia neoliberale/neoliberista (sulla raggiunta equivalenza dei due termini non ritengo di dovermi qui soffermare, essendo per altro sufficientemente chiarita dai contesti), che è preparata dal golpe cileno, si approfondisce negli anni Ottanta con Margaret Thatcher e Ronald Reagan, protagonisti della "svolta neoliberista", e prosegue nei successivi tre decenni in una posizione dominante, certo senza potersi mai completamente realizzare nella sua interezza programmatica, come E. Hobsbawm ha fatto notare, ma facendo segnare il suo successo maggiore nella diffusa interiorizzazione del modello dell’individualismo competitivo, oltre che nei tagli e nei processi di privatizzazione della sanità e della scuola pubblica. Infine, a partire dall’inizio degli anni Dieci del Duemila, il neoliberismo si è prolungato nel Capitalismo digitale, che ne costituisce una specializzazione, che ha spinto ancora oltre le frontiere dell’alienazione e ha determinato concentrazioni di ricchezza prive di termini di paragone in tutte le epoche precedenti. Tra l’altro, il golpe cileno è l’archetipo di un altro schema destinato a ripetersi, cioè l’alleanza tra il grande capitale anglo-sassone e l’estrema destra. Il Cile è da questo punto di vista paradigmatico del modello destinato, anzi, a divenire, di recente, molto più sfacciato di allora, concretizzandosi nel sodalizio tra il progressismo ultra-atlantista e guerrafondaio a stelle e strisce, regressivamente aggrappato allo scettro unipolare, e la cintura dei governi reazionari e/o con significative componenti dell’estrema destra a est dello spazio europeo, come presidio di una UE ridotta a colonia.
Pier Paolo Caserta
L'articolo risulta dalla trascrizione e dell'adattamento di una mia conferenza sull'argomento tenuta nel 2022 nell'ambito dell'ambito dell'attività di insegnamento.
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Testi di riferimento:
Salvador Allende, La via cilena al socialismo. Scritti e interventi di un presidente democratico, Pgreco edizioni, 2013
Jesus Manuel Martinez, Allende. L’uomo. Il politico, ed. ital. Castelvecchi, 2019
Siti:
https://unsaltoneltempo.jimdofree.com/julio-velasco/le-dittature-in-america-latina/
https://igufinarranti.altervista.org/la-morte-di-salvador-allende-approfondimento/
https://www.youtube.com/watch?v=7xNvLFAjCm0&t=57s
Fonti iconografiche:
Google
Turismo.it