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La guerra delle Falkland-Malvinas e la "svolta neoliberista" degli anni Ottanta

 

La guerra delle Falkland fu combattuta tra l’aprile e il giugno del 1982, e vide contrapposte l’Argentina e il Regno Unito. La dittatura civico-militare argentina, guidata dal generale Leopoldo Galtieri, volle la guerra per recuparare consenso interno e uscire dall’impasse nel quale era ormai avvitata, acuito da una grave crisi economica. Puntò, dunque, sulla guerra, reclamando le isole Falkland, Islas Malvinas (Malvine) per gli argentini, per rinfocolare il sentimento nazionalistico. Il regime argentino considerava per altro, erroneamente, che il conflitto sarebbe stato facile,  perché gli inglesi non avrebbero voluto impegnare grandi risorse per difendere un possedimento lontano dai loro confini. Le Falkland, situate nel sud dell'oeano Atlantico, erano state occupate dal Regno Unito negli anni Trenta dell’Ottocento ed erano abitate in prevalenza da popolazione di lingua inglese. I britannici, sia pure colti di sorpresa, reagirono efficacemente, riportando sotto il loro controllo gli arcipelaghi invasi dall’esercito argentino.

La contesa militare si risolse nel giro di due mesi e mezzo. La rapida vittoria rafforzò ulteriormente il governo conservatore di Margaret Thatcher, in carica dal 1980, premiato nelle elezioni politiche del 1983; e accelerò la caduta del durissimo regime militare che si era instaurato in Argentina nel 1976, resosi responsabile di trentamila desaparesidos (il numero è quello consolidato dalla tradizione e costantemente rivendicato dai movimenti per i diritti umani in Argentina).

 

Gli anni Ottanta appena iniziati sarebbero stati fortemente legati al nome della Tathcher e a quello di Ronald Reagan, diventato presidente degli Stati Uniti nel 1980 e regista insieme alla “lady di ferro” della svolta neoliberista che avrebbe impresso il suo marchio su un intero decennio e segnato profondamente anche l'epoca presente. La traiettoria politica dei due si sovrappone quasi esattamente. Margaret Thatcher, diventata la prima donna primo ministro nel 1979, si dimise nel 1990, quando correva il suo terzo mandato, contrastata da una componente del suo stesso partito. Ronald Reagan entrò in carica il 20 gennaio 1981 e fu rieletto per un secondo mandato presidenziale, che terminò dunque il 20 gennaio 1989. Il loro asse fu solidissimo. Entrambi furono alfieri del neoliberismo. Thatcher attuò da subito un vasto programma di liberalizzazioni e di riduzione della spesa pubblica, ottenuto smantellando il welfare state britannico che a partire dal secondo dopoguerra aveva conosciuto, grazie al partito laburista, un notevole sviluppo, beneficiando per altro di una visione all’avanguardia, che aveva le sue radici nel Rapporto Beveridge.

Nel loro complesso, le politiche economiche del governo Thatcher furono efficaci nel rimettere in ordine i conti pubblici, ma ebbero ricadute negative in primo luogo sui servizi sociali, in particolare negli ambiti della sanità e dell’istruzione. Le politiche neoliberiste parvero giovare alle classi medie, che poterono beneficiare di sgravi fiscali mirati, mentre i ceti popolari urbani furono duramente colpiti dalla disoccupazione. Le politiche antisociali e antipopolari del governo condussero allo scontro con i sindacati, che la Thatcher interpretò con durezza, rifiutando qualunque concessione. Di particolare rilievo, oltre che esemplificativo dello scontro politico e sociale in atto, fu lo sciopero dei minatori avviato nel marzo 1984 e prolungatosi fino al marzo dell’anno successivo. Proprio l’intransigenza dimostrata in quell’occasione valse al primo ministro britannico l’appellativo di “Lady di ferro”.

 

È importante mettere l’accento sul fatto che il neoliberismo si affermò nel tratto finale della guerra fredda. Il modello di Thatcher e Reagan ebbe successo anche perché fu in grado di sfruttare a fondo il campo di avversità offerto dall'esito totalitario del comunismo sovietico. Ma la società che il neoliberismo andava plasmando era nondimeno fortemente iniqua. Risultano chiarificatrici le parole di Margaret Thatcher sull’utopia socialista:

 

È un sistema che è fallito, e che da un punto di vista morale e politico ha fatto bancarotta. Voglio dire che non si tratta più di una teoria alla quale si può guardare ritenendo che possa essere meravigliosa. Oggi vediamo cosa nella pratica è questa teoria. Tutte le speranze e le aspirazioni della gente comune sono legate ai sistemi politici che le offrono la possibilità di vivere secondo le proprie scelte e di guadagnarsi un ragionevole livello di vita, e questi sono i sistemi democratici dell’Occidente." (Intervista a Margaret Thatcher di Fabrizio delle Noci, per il programmaTam Tam (Rai1), 1982).

 

Questo estratto, non diverso da molti altri discorsi nei quali ha espresso gli stessi concetti, sintetizza bene la matrice anti-socialista del pensiero politico della Thatcher e allo stesso tempo racchiude il catechismo dell’individualismo competitivo, cardine dell’ideologia neoliberista e neoliberale.

Il neoliberismo ha nel Socialismo il suo campo di avversità. Non soltanto, dunque, nel comunismo sovietico, che semmai ha fornito il pretesto ideale per eguagliare ad esso tutto il Socialismo e procedere così alla liquidazione della questione sociale. Ha rappresentato la rampa di lancio del neolibersimo, che deve quindi essere compreso nella cornice della guerra fredda e del suo tratto finale, come anche dei problemi lasciati aperti dalla competizione bipolare. Del resto la linea espressa dalla Thatcher concorda pienamente, anche in questo caso, con l’indirizzo della politica estera di Reagan, che si incentrò sul rilancio della sfida americana contro il comunismo, contro l’Unione sovietica, pomposamente definita “Impero del male”, e contro tutti i neimici degli Stati Uniti. Un massiccio riarmo corse in parallelo a questa costruzione ideologica, tanto che gli Stati Uniti installarono in Europa le più moderne postazioni missilistiche. Il presidente americano fu costretto, nel suo secondo mandato iniziato nel 1984, ad ammorbidire i toni, grazie alla politica di distensione promossa da Gorbacev. Si giunse così alla firma di un accordo per la riduzione degli armamenti missilistici in Europa.

Negli Stati Uniti, gli effetti sociali prodotti dalle politiche economiche reaganiane furono non dissimili rispetto ai risultati ottenuti dalla Thatcher nel Regno Unito. Ronald Reagan era un ex attore di Hollywood, che successivamente diventò governatore della California. I suoi trascorsi professionali lo aiutarono a mettere in campo una comunicazione molto efficace e persuasiva, che fu sicuramente uno degli elementi alla base del suo successo. Gli Stati Uniti riemergevano da anni difficili. Si pensi alla drammatiuca sconfitta in Vietnam, che rappresentò un trauma enorme per l'opinione pubblica americana. Reagan puntò sul patriottismo e sull’anticomunismo per creare fiducia e consenso, da una parte riconnettendosi direttamente al mito fondativo dei pionieri, dall'altro, come visto, spingendo fino al parossisimo ideologico i toni antisovietici. 

 

 

Ronald Reagan e Margaret Thatcher, fotografati nel 1984. Fotografia: Mary Anne Fackelman/BBC/Plimsoll Productions/The Reagan Library, via The Guardian

 

Le sue politiche economiche ruppero nettamente con il keynesismo, basato sul ruolo della spesa pubblica, esaltando al massimo la libera iniziativa privata. L’amministrazione Reagan cercò di alimentarla ricorrendo alla cosiddetta deregulation, cioè la drastica semplificazione delle norme e delle procedure burocratiche. L’altro elemento portante della sua strategia fu la riduzione della pressione fiscale, in modo particolare per le imprese. In contropartita, le spese per il welfare subirono una netta riduzione. Come è facile immaginare, ad essere colpiti da queste misure furono soprattutto gli strati più deboli della popolazione, che si videro sottratti gli ammortizzatori sociali. Il risultato tangibile fu la crescita delle diseguaglianze sociali nell’America reaganiana, nonché delle tensioni razziali. Anche la spesa per gli armamenti fu sensibilmente aumentata in quegli anni, a sostegno della politica estera che rinverdiva i toni della fase più acuta della guerra fredda. D'altra parte l'economia nel suo insieme crebbe negli anni 1983-1986, in particolare i settori trainanti, quali l'elettronica e l'industria militare. In compenso, molte imprese agricole, private dei sussidi governativi, entrarono in crisi. Gli americani gli rinnovarono la fiducia eleggendolo con largo margine nelle presidenziali del 1984 per un secondo mandato.

Si può cogliere facilmente la corrispondenza di segno tra le politiche economiche thatcheriane e quelle reaganiane. Anche i loro effetti furono omogenei: le imprese e i ceti medi furono sia concretamente avvantaggiati che nutriti di una prospettiva di crescita che alla fine del decennio iniziò a subire un riflusso. In ogni caso, il prezzo per larghi strati popolari fu elevato.

 

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