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Personaggi-chiave dell'antifascismo
Matteotti, Gramsci, Gobetti, Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, Croce, Di Vittorio.
 
Antonio Gramsci (1891-1937)

Tra i fondatori, nel 1921, del Partito Comunista d’Italia, incarcerato dal regime fascista, rilasciato nel 1934, morì tre anni dopo a causa del deterioramento delle condizioni di salute dovuto alla prigionia.

Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. (Antonio Gramsci, Lettera alla madre, 10 maggio 1928)

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente,

ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare …

… Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e

chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è  successo? (Antonio Gramsci, 1917)

Piero Gobetti (1901-26)

Intellettuale torinese, fondatore e animatore della rivista La rivoluzione liberale, muore a soli 25  anni

per via delle percosse subite dai fascisti, dopo essere stato raggiunto a Parigi, dove si trovava in esilio.

Combattevamo Mussolini come corruttore, prima che come tiranno; il fascismo come tutela paterna prima

che come dittatura; noninsistevamo sui lamenti per mancanza della libertà e per la violenza, ma rivolgemmo

la nostra polemica contro gli italiani che non resistevano, che si lasciavano addomesticare. (da Scritti attuali,

a cura di Umberto Calosso, Capriotti)

Il mussolinismo è [...] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l'abito

cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus

ex machina la propria salvezza.

Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per

rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo. (messaggio telegrafico di Mussolini al

prefetto di Torino, 1° giugno 1924)

Gaetano Salvemini (1873-1957)

Nel 1925 con i fratelli Rosselli e Nello Traquandi fonda a Firenze il giornale antifascista clandestino Non

mollare. Arrestato dalla polizia fascista e detenuto per tre mesi, riesce a rifugiarsi a Parigi, dove è tra i fondatori

di Giustizia e Libertà.

Il mio silenzio [...] si è esteso a tutte le altre questioni. La esperienza che feci  nella Camera fra il 1919 e il 1921, mi disgustò così profondamente degli uomini di tutti i partiti, che non mi sono ancora riavuto di quel disgusto e  sono sempre come l’ubriaco all’indomani della sbornia…S’intende che io considero più che sufficiente tutto il mio passato – indipendentemente dalla  riserva che mi sono imposta in questi ultimi due anni – a mettermi in contrasto con quella, che Ella chiama «la opinione del paese» e che io chiamo  la opinione di un partito che si è impadronito oggi del governo del paese  bastonando e ammazzando chi non è d’accordo con Lui. Non volendo nulla  disdire del mio passato e delle mie idee mi mettono a contrasto col vincitore di oggi. (91. Salvemini a Girolamo Vitelli – Parigi, 9 novembre 1922, Tagliacozzo, pp. 118-120)

Quanto alla situazione dell’Italia, io la vedo sempre più nera. Un paese, in cui il popolo è quale tu e io lo vediamo, e le classi dirigenti sono incapaci di fare altro che retorica, - è un paese condannato a sparire come Stato nazionale indipendente. Quando avverrà questo non lo so. E può darsi che un intreccio di casi fortunati ci permetta di vivacchiare per lungo tempo come certi ubriachi, i quali traballando riescono a tenersi in piedi. È chiaro che in questo periodo di terno al lotto non si formi una nuova classe dirigente meno indegna di quella attuale. Motivo per cui io mi sento come dinnanzi a un ammalato disperato ma che ancora non è morto. Chi sa che non si trovi a un tratto una droga assurda che lo rimetta in gamba. (Salvemini a

Giuseppe  Prezzolini – Parigi, 14 novembre 1922)

Benedetto Croce (1866-1952)

Caso più unico che raro, Croce, antifascista, non militò nell’opposizione cospirativa al

fascismo. In un primo momento Croce vide nel fascismo un momento di passaggio

necessario per la “restaurazione di un più severo regime liberale”, ma dal fascismo

prese definitivamente le distanze con il delitto Matteotti.  Il regime  “concesse” a

Croce di  criticarlo apertamente per mantenere verso l’esterno una facciata di

tolleranza nei confronti del dissenso. Nonostante questo, Croce rappresentò un punto

di riferimento importante per l’antifascismo.

Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del

giorno che abbiamo redatto è detto  esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri

la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi

lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini  al potere è condizionata al nostro beneplacito. (giugno 1924; citato in G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, 1966).

[Su Mussolini]  l'uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante di quella

ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile, incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola o gesto, sempre tra il pacchiano e l'arrogante. (dai Taccuini, 2 dicembre 1943)

Giuseppe Di Vittorio (1892-1957)

La figura di Di Vittorio assume grande importanza nella storia della prima metà del Novecento e del secondo dopoguerra. Sindacalista, antifascista, dapprima socialista e poi comunista "atipico": entra in Parlamento con il Partito Socialista, ma se ne distacca deluso dall'atteggiamento troppo tiepido nei confronti dell'omicidio di Giacomo Matteotti per entrare a far parte del Partito Comunista Italiano, verso il quale sarà tuttavia non di rado in dissenso. Durante il fascismo vive in esilio e da Parigi dirige la rivista La voce degli italiani. Nel 1946 Di Vittorio è eletto nell'Assemblea costituente, nella quale porta, con tutta la coerenza della sua biografia personale e politica (motivo per altro alla base della sua grande credibilità), il tema del Lavoro.

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