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Alcuni assaggi dal mio Dominio della Tecnica e civiltà dell'intrattenimento, che si è ora messo alla ricerca di un editore disposto a pubblicarlo. 


La domanda che percorre questo mio lavoro è se oggi la tecnica possa ancora essere considerata un mezzo. A chi consideri pacifico rispondere in modo affermativo, il mio interrogativo potrà forse sembrare stravagante. Nel momento di transizione verso la scienza moderna, nel Cinquecento, è del tutto possibile vedere la tecnica come mezzo di emancipazione e di liberazione. Ma oggi, alla fine di un lungo percorso, credo sia essenziale sollevare il problema del ruolo e della natura della Tecnica e del rapporto dell’uomo con la Tecnica. Si troverà che il problema di fondo è qui formulato in termini generali che sono vicini a quelli di Martin Heideggar (1976); l’impostazione è in sintonia anche con l’efficace riproposizione che in epoca più recente è stata offerta da U. Galimberti (1999). Tenendo presenti queste importanti lezioni, insieme ad altri compagni incontrati lungo questo mio cammino di riflessione, ho tuttavia voluto cercare di incrociare la fenomenologia del dominio della tecnica con altri elementi concomitanti nello stadio attuale del Capitalismo, in primo luogo con la civiltà dell’intrattenimento che oggi sembra dispensare distrazioni e illusioni con efficacia senza precedenti. Tecnica, Mercato e intrattenimento sono elementi che oggi si intrecciano strettamente. Di fatto, a mio parere, in qualunque momento ci accostiamo al problema non possono essere separati senza amputare il problema generale di una sua componente essenziale. 

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Per tutto questo c’è anche un nome, si chiama capitalismo  delle emozioni. L’uso del social produce un effetto di rinforzo sulla nostra autostima. Più o meno, qualunque cosa scriviamo qualche pacca sulla spalla arriverà, in forma di benevoli “like”. Il meccanismo è noto da tempo non soltanto a chi ne trae lauto vantaggio, ma anche agli analisti che lo studiano. Quello che, dopo parecchi anni, possiamo sicuramente aggiungere, è che il gioco ha raggiunto allo stesso tempo una dimensione planetaria di massa e vette altissime in termini di efficacia. Gli utili delle multinazionali che ci forniscono gentilmente le piattaforme senza le quali non esistiamo crescono a dismisura. Ma l’uso dei social “è gratis e lo sarà sempre”. Si capisce. 
     A qualcuno, forse a molti potrà ancora sembrare poco, ma è un fatto che quello stesso sistema tardo-capitalistico che produce nell’individuo una ferita mortale, un deficit di 
autostima gli fornisca poi lo strumento per illudersi di sanarlo. Così, felice e beato, l’individuo, indiscusso protagonista del suo stesso piccolo mondo, rinuncia di buon grado a fare qualcosa per risolvere le crescenti storture del mondo vero. In cambio della perdita della partecipazione politica e della conculcazione dei diritti sociali, all’individuo vengono forniti molti e graziosi giocattolini che gli permettono di trasformare le privazioni in giornaliere e trionfali vittorie. Con il risultato, senza precedenti, che mentre ci viene tolto molto in dosi omeopatiche, noi, grati, ringraziamo per quanto di totalmente illusorio ci viene dato. 

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Nell’età del trionfo del mercato e della tecnica, nell’epoca del pensiero unico e del neoliberismo, l’arte è ridotta a mero intrattenimento. Tutto converge per ridurre l’arte ad intrattenimento e nell’incontro con la televisione è solo l’arte a perdere se stessa. È “naturale” che sia così, perché deve essere resa innocua, cioè non scomoda al potere, ma a quel potere impersonale e sempre più sofisticato che non si vede, che non si mostra, che non va cercato tanto nei palazzi della politica, quanto nella ristretta e impalpabile élite tecno-finanziaria che della politica muove ormai i fili. Innocua, poi, neutra e sterilizzata, potrà esserlo soltanto se riconfermerà il modello unico, il consumo, il mercato. E, allo stesso, tempo, provvederà a tener vivo il miraggio di ascesa sociale e di successo di tutti, compreso il ceto medio impoverito dalle politiche antisociali la cui essenza è il trasferimento di ricchezza dalla società ai mercati. Proprio gli sconfitti dalla globalizzazione devono continuare a sognare la propria redenzione attraverso le incessanti possibilità di ascesa offerte da quello stesso mercato che voracemente ingurgita la dignità del lavoro come anche qualunque processo di comprensione critica dell’esistente. 
Si profonde ogni sforzo affinché le smanie di emergere dei giovanissimi passino per i canali che sono stati predisposti, perché si coltivi l’ambizione a diventare per esempio un cantante famoso – dove il primo termine viene subordinato al secondo. È un’aspirazione che, in una parola, tende a sganciarsi completamente dal contenuto, dal progetto, e questo sganciamento viene fanaticamente incoraggiato. Le regole per la selezione dell’arte  sono state fissate e definite in modo che passino interamente per la televisione, per l’intrattenimento. Tutto diviene performance immediata, cotta e mangiata, nella quale valutare le qualità del candidato, che deve muoversi cantare e ballare – senza l’aiuto dei fili! – qui ed ora; e, se va bene, se risponde ai requisiti di commerciabilità imposti dalle produzioni artistiche mainstream, viene sbaciucchiato dal successo. Reso grato di tanta grazia ricevuta, non dirà, né saprà del resto pronunciare, una sola frase minimamente scomoda, non una parola men che prevista. L’arte è così diventata ancella dell’intrattenimento. La capacità tecnica, l’elevata tecnica, risolvendosi interamente nella prestazione, cioè nella mera esecuzione, che è essenzialmente ri-produzione, deve occultare proprio la completa assenza del progetto. Deve divenire tecnicismo senza progetto. 


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EPILOGO 
 
Dobbiamo proteggere i bambini (e noi stessi con loro) dalla crescente atomizzazione della società, che genera adulti nevrotici, isolati, incapaci di ritessere il senso d'insieme. L'atomizzazione si ottiene, tra le altre cose, disgregando la narrazione, come avviene sempre di più in molti prodotti di intrattenimento di largo consumo destinati ai bambini, in favore di intrecci quasi azzerati, dialoghi e situazioni precocemente incalzanti, nevrotizzanti e acceleranti. Insomma in molti casi, proprio come gli adulti che li producono e come quelli che vi espongono i bambini. Proprio come noi. 

Resistiamo. Rallentiamo.  Resistiamo rallentando. 
 
Privilegiamo sempre i prodotti che abbiano un intreccio, una narrazione, tempi che permettano la comprensione -e favoriscano la formazione- della visione d'insieme. 
 
È con quella visione di insieme che cambieranno il mondo in meglio. 

Proteggiamo i bambini. Leggendo loro libri e fiabe. 
 
Proteggiamoli
Raccontando
Storie


 
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