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Berlusconismo e dintorni

 

sabato 28 maggio 2011
Cara Melchiorre, vorrei piuttosto sapere  perché aveva accettato

Daniela Melchiorre ha rassegnato le proprie dimissioni dal ruolo  di sottosegretario allo Sviluppo economico. Le ragioni sono riportate in una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nella quale comunica di  non avere più intenzione di prendere possesso del suo incarico "dopo le  incredibili esternazioni del presidente del Consiglio contro i magistrati all’incredulo presidente Obama in occasione del summit del G8". Dopo  quell’episodio, sottolinea infatti la Melchiorre, "non ho potuto far altro  che constatare che non vi è, almeno per me, uno spazio per proseguire, o meglio avviare, un contributo effettivo all’attività governativa", perché "qui la  cosiddetta difesa fuori dal processo ha voluto raggiungere, al di là di ogni
misura, l’apice mondiale".
Tutto giusto, tutto condivisibile, ma la domanda che mi viene naturale pormi non è perché Daniela Melchiorre abbia
lasciato ora, bensì perché avesse accettato prima. La data ufficiale di inizio del mandato è infatti quella del 5 maggio 2011, l’attacco di Berlusconi alla magistratura è stato sferrato per caso nelle ultime due settimane, o anche soltanto negli ultimi mesi? Se Daniela Melchiorre, da liberaldemocratica – accostamento di parole che, se ha ancora un senso, ha ben poco da spartire con il berlusconismo – è convinta che l’attacco del cavaliere alla magistratura sia inaccettabile, dovrebbe spiegare non cosa l’abbia spinta a dimettersi, ma cosa l’avesse spinta ad accettare.
Eppure, continuando a leggere la lettera si apprende che a giudizio della Melchiorre il segno sarebbe stato superato soltanto adesso: "Ora però si è superata la misura. Non è francamente accettabile che si giunga alle volgarità dei giorni passati e che si tenti la delegittimazione di quella che comunque è una funzione costituzionale dinnanzi a quella che è una delle autorità più importanti della terra".
È quindi lecito dedurre, che se il cavaliere non fosse andato a riversare le sue paranoie anche sul povero Obama, per Daniela Melchiorre tutto sommato la cosa poteva essere ancora accettabile? La “volgarità” dei giorni passati, sebbene abbia
raggiunto una ribalta mondiale, è forse nuova, quand’è che “è stata superata la misura?”.
La Melchiorre nella sua lettera ricorda ancora "di essere un magistrato e di aver indossato con orgoglio e con onore la toga", ma allora forse sarebbe stato logico prendere le distanze molto ma molto tempo prima.

Ecco per quale motivo delle ragioni personali che apparentemente potrei condividere mi trovano invece poco comprensivo. Al di là delle storie individuali, il caso della Melchiorre mi pare il frutto di un equivoco più  profondo e perniciosissimo, che nasce dalla convinzione di alcuni sedicenti  liberali che, muovendo da una posizione centrista e dunque bifronte, con il  berlusconismo si potesse o si possa in qualche modo collaborare. La storia dei“Liberal Democratici per il Rinnovamento”, il movimento politico di cui Daniela  Melchiorre è presidente, testiminia del resto in modo eloquente tale ambiguità  di fondo. Peccato che il berlusconismo abbia con il liberalismo un rapporto  puramente nominale e del tutto falso ed ambiguo, essendo, del liberalismo, la  perfetta e completa negazione. Un pensiero autenticamente liberale può contemplare nei confronti del berlusconismo un solo atteggiamento: opporsi strenuamente.

 

giovedì 13 maggio 2010
Cannes, i capricci di Bondi e l'immagine dell'Italia
 
Se la maturità e l’apertura di un Paese si dovessero giudicare dal suo ministro della Cultura, allora dovremmo concludere di essere messi davvero male.

I battenti di Cannes si aprono monchi della rappresentanza del governo italiano. Il pasticcio, come è noto, l’ha combinato il nostro ministro della Cultura, che ha deciso di boicottare Cannes in segno di protesta contro il documentario“Draquila” di Sabina Guzzanti, bollato come “propaganda che offende la verità e l’intero popolo italiano”.

Non lo nascondo: non ho mai avuto alcuna simpatia per Sandro Bondi. Ma le mie inclinazioni personali non c’entrano. Dietro alla scelta del ministro –stigmatizzata come “puerile, infantile e capricciosa” dall’ex ministro francese della cultura Jack Lang – c’è anzi il chiaro marchio di fabbrica di un  presidente del Consiglio, e della maggioranza di governo a lui devota, allergico a qualunque critica nei suoi confronti. Ci sono uno stile,  un’incontinenza che porta, come in questo caso, ad atteggiamenti e posizioni  grotteschi e solo apparentemente incomprensibili. C’è l’idea che l’Italia sia  una vetrina da tenere linda e pulita, poco importa se si nasconde la polvere sotto il tappeto, poco importa se si arriva all’eccesso scomposto di definire
“propaganda” la libera espressione artistica. Partendo da questa fobia si arriva a un raccapricciante ribaltamento: chi denuncia, chi cerca di raccontare la verità, con i mezzi che ha a disposizione, può essere considerato dannoso per
l’immagine dell’Italia, come il cavaliere ha imperdonabilmente lamentato nel caso di Roberto Saviano.

L’immagine dell’Italia deve essere cristallina e pura, senza ombre. E poco importa se Sabina Guzzanti ha buoni argomenti quando dice che il terremoto dell’Aquila giunse provvidenziale per permettere a un premier in crisi di credibilità a causa degli scandali sulla sua vita privata di risollevare la propria immagine. Anzi, peggio ancora se ha buoni argomenti, perché le critiche
argomentate e motivate sono le più pericolose. La Guzzanti però non è sola: anche mezza stampa europea e in particolare anglosassone, all’indomani del terremoto, rilevò l’uso propagandistico che il primo ministro italiano fece della tragedia dell’Aquila. E allora è chiaro che il capriccioso rifiuto del ministro Bondi di partecipare a Cannes non influirà negativamente
sulla fortuna di “Draquila”.

Quello che rimane è, piuttosto, l’ennesima, scomposta reazione, la rivelazione non nuova di un umore di fondo. Lo stesso che, a guardare bene, poteva essere letto nelle recenti dichiarazioni del cavaliere, rese nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, in risposta alle molte critiche che ci provengono dall’estero:“è sotto gli occhi di tutti” , aveva detto, che in Italia
“abbiamo fin troppa libertà di stampa”.

Viene da chiedersi che cosa si debba intendere per “troppa” libertà di stampa. La libertà di stampa può essere troppa? Io direi di no. La libertà di stampa o c’è o non c’è, ma in nessun caso può essere troppa.

Il gergo berlusconiano, nelle sue pieghe, rivela come al solito  le sue vere intenzioni, la sua reale indole: malgrado il controllo capillare delle televisioni e la condiscendenza di buona parte della stampa non apertamente filo-berlusconiana, in Italia ci sarebbe “fin troppa” libertà di stampa. Troppa perché, in alcuni casi, è ancora in grado di gettare ombra sul
sultano, tentando di svolgere la sua fondamentale funzione, quella di criticare
il potere e chiedergli di dar conto del proprio operato. 

In Italia, apprendiamo, c’è “fin troppa” libertà di stampa. Immaginiamo con facilità che in ci sia anche fin troppa libertà di espressione artistica. Intanto Cannes ha preso il via, con il presidente della giuria Tim Burton che ha presentato così il festival: "Noi siamo per la libertà espressiva, siamo per la libertà di vivere liberi e senza censure". Ed è per questo che, ovviamente, “Draquila” ci sarà. Sandro Bondi no. Lui è così preoccupato per l’immagine dell’Italia, che ha pensato bene di farle rimediare l’ennesima figuraccia.


 
mercoledì 14 aprile 2010
La linea giurisprudenziale del "mal comune"

Le intercettazioni che sembrano aprire una nuova calciopoli o riaprire quella vecchia devono essere valutate dalla magistratura e qui giova dire anzi tutto che la giustizia sta ancora facendo il suo corso ed è presto per dire qualcosa.

Una cosa è certa: la linea giurisprudenziale dell’italietta della prepotenza, del privilegio e dell’impunità ormai è chiaramente quella del “mal comune”.

La Chiesa: la pedofilia? Mica c’è solo nella Chiesa, perché allora ve la prendete solo con noi? (più che la dimensione spirituale, molto sembra influenzarla il trovarsi in territorio italiano).

Berlusconi: omettiamo la lunga serie dei dettagli: quella del “lo fanno anche gli altri” è stata una delle fondamentali strategie di legittimazione del cavaliere.

I difensori di Giraudo, Moggi e della Juventus: lo facevano anche gli altri, tutti parlavano con i designatori arbitrali, la Juventus non era a capo di un sistema e comunque non era la sola ad avvantaggiarsene.

Quando l’Amore che si sta riversando sul Paese avrà finalmente ricoperto ogni cosa, i tempi saranno maturi per riscrivere il diritto in questo senso: se qualcuno ha commesso un reato, ma non è l’unico ad averlo commesso, non può essere perseguito.


   
venerdì 2 aprile 2010
L’equivoco dell’antiberlusconismo

Qualche considerazione su questa eterna questione dell’ “antiberlusconismo”, della quale dopo le elezioni ho sentito molti, nel
centrosinistra e non, parlare essenzialmente in questi termini: il cavaliere ha innescato l’ennesimo referendum sulla sua persona, e immancabilmente ha vinto. L’antiberlusconismo è una linea perdente e perde dal 1994.

Questa analisi ha la sua parte di ragione, ma ho, per altri versi, molte riserve. In primo luogo essa è falsata per il semplice fatto di basarsi su un capovolgimento fattuale: non sono io ad essere antiberlusconiano, è lui che è un corruttore. Ed
è molte altre cose, che qui non ripeto tutte, mi limito a ricordare lo studio di Freedom House pubblicato nel maggio 2009 che ci collocava al 73esimo posto del mondo per libertà d’informazione, solo per evocare un problema sempre
attuale.

Ma certo che sono antiberlusconiano, esattamente come sono antifascista, anche se nessuno di questi due valori esaurisce la mia identità, perché un antagonismo manca della parte costruttiva, anche se può implicitamente contenerne le premesse e tuttavia queste premesse vanno esplicitate. Sono antiberlusconiano non nel senso limitativo della persona di Silvio Berlusconi,  ma nel senso del berlusconismo inteso come fenomeno culturale egemone.

Il problema, allora, non è che l’antiberlusconismo sia perdente, ma che la sinistra non ha saputo sostanziarlo, non ha saputo farne un elemento decisivo di critica sociale, non ha saputo usarlo, e avrebbe dovuto, per marcare una
chiara differenza, nemmeno in una fase molto travagliata della leadership del cavaliere. Non ha saputo, soprattutto con il PD, rappresentare con i fatti la sua chiara estraneità, facendosi anzi pescare troppo spesso con le mani nella
marmellata. Allora è davvero corretto dire che ha perso l’antiberlusconismo, oppure non è piuttosto vero che ha perso l’incapacità cronica di opporsi efficacemente al berlusconismo?

Io rivendico l’antiberlusconismo  esattamente come rivendico l’antifascismo, perché sono democratico, e totalitarismo, autoritarismo e deriva populista sono nemici della democrazia. Tanto quanto l’inettitudine dell’opposizione: francamente mi sarebbe piaciuto vedere una forza di centrosinistra capace di assumere questa battaglia culturale con fierezza e irriducibile determinazione, non un PD che si è fatto pavidamente risucchiare nel gorgo del berlusconismo.

La tragedia è stata non essere stati in grado di configurarsi come fenomeno oppositivo al berlusconismo, bensì trasformarsi in un fenomeno in qualche modo interno al berlusconismo perché scialba opposizione e dunque storicamente complice di un quindicennio. Altro che sconfitta dell’antiberlusconismo come linea politica, è piuttosto vero che questa linea non l’abbiamo mai vista!

Io credo che il problema sia esattamente il contrario di quello che sento evocare. Il guaio non è che abbia perso l’antiberlusconismo: piuttosto, ha perso l’antiberlusconismo sterile, quello dichiarato, sbandierato, chiacchierato ma mai veramente applicato, lo stesso in virtù del quale non è stata fatta una seria legge sul conflitto d’interesse quando la si poteva fare. Ma questo non è antiberlusconismo, è berlusconismo perché è fenomeno affine, congenere, complice, di più,
connivente.

Non siamo stati capaci di fare dell’antiberlusconismo un valore e questo è il motivo per cui, nonostante Silvio Berlusconi sia in una fase declinante, il berlusconismo è ancora egemone



Domenica 21 febbraio 2010
Il paradosso di  Arcore

Le leggi contro la corruzione le fa un corruttore. Succede in Italia, 2010. Il corruttore, inoltre, assicura: nelle liste del Pdl non ci saranno personaggi corrotti. Di fronte alla sagacia logica del cavaliere Bertrand Russel, con il suo paradosso del barbiere, impallidisce. Chi asserisce che nel Pdl non ci saranno personaggi corrotti, va considerato o meno un membro del PdL? (Paradosso di Arcore)



giovedì 14 gennaio 2010
Minzolini su Craxi: il peggior revisionismo al servizio del cavaliere 

Nella polemica sulla riabilitazione di Bettino Craxi non poteva  a questo punto mancare un intervento del direttore del Tg1 Augusto Minzolini,  sceso in campo ieri sera, come apprendo dai giornali, con un editoriale.

A creare sconcerto non è, in sé, la proposta di un riesame critico della figura storica di Bettino Craxi; perché questo potrebbe essere lecito, se condotto con un minimo di onestà intellettuale e in un clima culturale meno avvezzo (e interessato) giustificare l’impunità. A creare sconcerto, e indignazione, è, invece, proprio il fatto che la necessità di questa riabilitazione venga rivendicata in funzione chiaramente filoberlusconiana: per gli apologeti del cavaliere riabilitare Craxi significa
compiere un’operazione organica all’opera di “riforma” voluta dal premier, a quelle leggi “ad libertatem” (non esiste più limite allo stravolgimento semantico) che sono leggi per la libertà di Silvio Berlusconi al di sopra della legge. 

Eloquente il passaggio principale del discorso di Minzolini: “A un problema politico fu dato una soluzione giudiziaria. Craxi fu mandato alla  ghigliottina. Si alterò l'equilibrio nel rapporto tra politica e magistratura". Una storia, si evince senza troppa fatica, che porterebbe fino al presente, laddove, guarda caso, il cavaliere sta ingaggiando un braccio di ferro mortale contro la magistratura. Uno scontro nel quale, stando all’analisi di Minzolini, non è certamente difficile individuare torti e
ragioni.

Nessuna pregiudiziale contro il revisionismo in sé: la storiografia è intrinsecamente revisionista, ma il requisito è quello di un  minimo di onestà intellettuale. Il revisionismo nel senso deteriore è, invece,  quello che ricostruisce il passato in modo funzionale a una menzogna nel presente. E in questo Minzolini è senz’altro maestro. 
 



mercoledì 7 ottobre 2009
I golpisti sbugiardati dalla Arcuri

Le accuse mosse al premier Silvio Berlusconi, ordite da pericolosi golpisti, non possono che essere false. Una prova incontrovertibile di ciò era venuta in settimana dal fatto che il vicepresidente del Milan, Adriano Galliani, essendo la situazione arrivata a un limite insopportabile, avesse sentito il bisogno di prendere apertamente posizione sulla questione, assicurando che nulla di quanto il cavaliere ha fatto possa essere men che corretto. Le parole di Galliani sono confermate ogni giorno da organi di informazione di assoluta credibilità e autorevolezza come Il Giornale e Libero, diretti da uomini che hanno a cuore sopra ogni altra cosa la causa della llibertà e dell'indipendenza dell'informazione. Ma se nemmeno questo dovesse bastare, per i più scettici, è arrivata una testimonianza che chiude definitivamente ogni controversia: Manuela Arcuri, intervistata da Chi, garantisce che i pranzi del cavaliere a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli, ai quali ha preso parte, sono stati del tutto normali. Beh, che dire, se lo dice pure la Arcuri io la farei tranquillamente finita qui. Tempi duri per i golpisti!
 

 

 

lunedì 27 luglio 2009
Politica e civiltà dell'intrattenimento

Cosa è emerso dagli scandali sessuali che da mesi si abbattono senza sosta sul presidente del Consiglio? Ora abbiamo le prove documentate che il premier ha mentito e non è cosa di poco conto, o non dovrebbe esserlo in una democrazia matura. Dal punto di vista dell’orizzonte culturale, invece, non ricaviamo da queste vicende nulla che già non sapessimo. È emerso che il premier ha confuso televisione e politica, ha cercato di mandare veline e showgirl al Parlamento europeo (e prima ancora, riuscendoci, a quello italiano), promette alle sue compagne di letto o alle sue favorite partecipazioni al Grande Fratello.

Per alcuni aspetti, è innegabile che il cavaliere appaia vittima di se stesso. L’uomo che ha promosso e incoraggiato i valori della civiltà  dell’intrattenimento, fondandovi un preciso modello di persuasione politica,  sconta ora gli effetti paradossali di quel modello, ma non è chiaro in che misura ne uscirà realmente danneggiato, perché una parte non trascurabile dell’opinione pubblica considera veniali i suoi peccatucci, quando non è persino disposta a tributargli segreta ammirazione.

L'inesauribile serbatoio culturale che alimenta il berlusconismo è rappresentato dalle ragazzine che ambiscono a fare le vallette o ad approdare in televisione a qualsiasi costo, non meno che da madri pronte a darle in pasto ai loro carnefici pur di arricchirsi o padri disposti a darsi fuoco se i sogni vengono infranti; è fatta da quella larga schiera di italiani che non vogliono
pagare le tasse, non meno che da maschi che sono esattamente come lui e lo sarebbero anche di fatto se solo potessero. È fatto da stuoli di mediocri tanto privi di qualità quanto animati dall’ambizione più vuota e fine a se stessa, pronti a qualunque cosa, pronti ad assumere plasticamente qualunque forma, per non averne alcuna, pur di ottenere una comparsata nell’impero mediatico del  padrone; è rappresentato, ancora, da servi zelanti, privi di qualunque amor di verità e interessati esclusivamente alle loro carriere, non meno che da vecchie massaie tanto ignoranti quanto razziste o da donne in “carriera” prone al piacere del capo, sia che lo soddisfino personalmente, sia che intercedano per procurargli il necessario materiale umano.

Misuriamo la diffusione di questa patologia culturale e  chiediamoci: l’avremo sconfitta, quando l’uomo che oggi la incarna più di ogni altro avrà lasciato la scena politica?

Diciamolo subito: Berlusconi non è l’unico a rappresentare  questo sistema: è il più sfacciato e il più impunito. Ma nasconderemmo la testa  sotto la sabbia rifiutandoci di vedere che la condotta del premier e la sua giustificazione hanno un preciso correlato antropologico che è costituito, ancora una volta, da quella parte di italiani che lo vota “perché è come lui o
vorrebbe essere come lui” (Sartori). È qui che dobbiamo tornare, per capire che il problema è prima culturale, poi politico. Se così non fosse, non si capirebbe più per quale motivo un premier del genere non si dovrebbe trovare isolato ed abbandonato da un’opinione pubblica irrimediabilmente indignata, che invece continua in buona parte a sostenerlo, mentre i provini per il Grande Fratello continuano a fare il pieno. È su questa commistione, che i recenti scandali dovrebbero semplicemente aver reso più palese, che si fonda quel radicato cancro che è il berlusconismo.

Denunciare un premier così indegno del ruolo che ricopre è uno dei compiti fondamentali di una democrazia, al quale non dobbiamo certamente abdicare. Ma il problema è molto più ampio. Se mai ci libereremo del cavaliere, saremo appena all’inizio. Anche in questo caso così auspicabile, avremmo licenziato un cattivo premier, ma non avremo estirpato la piaga del
berlusconismo, che ha radici molto più profonde, perché culturali e basate sulla rivoluzione culturale compiuta con successo dalla televisione; così come non avremmo risolto il problema delle forze sociali e politiche che Berlusconi ha contribuito in modo decisivo a far emergere, con la Lega Nord in testa, e che oggi legiferano incontrastate. E non avremmo risolto, infine, il problema di un’opposizione impotente e della costruzione di un’alternativa politico-culturale seria e credibile.

Ciò che ci da davvero fastidio di questo personaggio, mentre di fronte al ridicolo internazionale molti, anche tra quelli inizialmente possibilisti nei suoi confronti, si affrettano a dissociarsi e a coniare slogan come “non è il mio presidente”, non è il fatto che non ci rappresenti. È il fatto che ci rappresenta. Rappresenta una certa italianità, non priva di stereotipi che da generazioni cerchiamo di scrollarci di dosso e che oggi, vergognosamente, attraverso di lui, scopriamo veri. La matrice del carico di vergogna che oggi ci portiamo addosso non sta nell’artificiosità di Berlusconi, ma nella profonda verità sociale del berlusconismo.

 

 

venerdì 3 luglio 2009
Vespa mette in scena il tripudio  dell'italianità all'indomani dell'approvazione del pacchetto sicurezza

Da quasi due anni a questa parte, le poche volte che guardo la  televisione è sempre la televisione di qualcun altro, avendola io buttata via con gioia. Questa sera mi capita Porta a Porta – ed è un bene che mi capiti, ogni tanto. Il tema della puntata è volutamente poco definito, ma il senso è  una celebrazione dell’italianità, dalla moda, alla Fiat, allo sport, con ampi reportage sui trionfi nazionali. Degni ospiti, tra gli altri, Christian De Sica e Pippo Baudo.

Vespa poteva fare una puntata del genere una settimana fa, fra tre giorni, tra un mese. Ma il fatto che questo tripudio dell’italianità sia andato in scena proprio all’indomani dell’approvazione del “pacchetto sicurezza" gli conferisce un senso non casuale e assolutamente sinistro.

Nulla di nuovo, solo più aberrante del solito.

 

domenica  26 aprile 2009
Decostruzione del discorso del cavaliere del 25 aprile e del suo torbido revisionismo
 
(…)E con rispetto  dobbiamo ricordare oggi tutti i caduti, anche quelli che hanno combattuto dalla parte sbagliata sacrificando in buona fede la propria vita ai propri ideali e ad una causa già perduta.

Basterebbe questo passaggio del discorso pronunciato ieri dal cavaliere a gettare luce su una presenza sempre rimandata, quella alla ricorrenza del 25 aprile. Oggi, invece, i tempi sono maturi e lui lo sa bene. Con una larga vittoria alle elezioni di aprile dell’anno scorso, con il sostegno decisivo dell’estrema destra xenofoba della Lega nella compagine di governo; con il riassorbimento di AN nel PdL e un’opinione pubblica sempre più inerte, non potrebbe esserci momento più propizio per raccogliere i frutti di quell’operazione di basso revisionismo storico, tesa ad equiparare chi sostennela Resistenza con chi supportò il regime fascista.  Un’equiparazione infarcita con i toni solo apparentemente morbidi del torbido,  falso pluralismo instaurato con la complicità dei media, in nome del quale i nemici della democrazia vengono equiparati a chi, la democrazia, la difese a  costo della vita. 

In un discorso dove sono disseminati, ad arte, spunti condivisibili, potrebbe passare inosservata ai più persino un’enormità come la seguente:

Una nazione libera tuttavia non ha bisogno di miti. Come per il Risorgimento, occorre ricordare anche le pagine oscure della guerra civile, anche quelle nelle quali chi combatteva dalla parte giusta ha commesso degli errori, si è assunto delle colpe.

Questa è un sintesi perfetta del catechismo politico berlusconiano e dei suoi apologeti: poiché chi stava dalla parte giusta
ha commesso degli errori, si suggerisce per contrasto, e nemmeno troppo implicitamente, che chi stava dalla parte sbagliata non deve aver sbagliato proprio tutto.

Il tutto consumato nello scenario desolato di Onna, per raccogliere in un colpo solo i frutti del peggior revisionismo e il consenso di un’esposizione mediatica  costruita su una tragedia.

Parafrasando  “Lapide ad ignominia” di Calamandrei, possiamo rispondere al cavaliere: certo, che ricordiamo, ma come ricordiamo lo decidiamo noi.


 

martedì  21 aprile 2009
Il berlusconismo come pensiero  egemone 
 
Il  PD si è palesato, nel complesso, come un fenomeno interno, e non oppositivo, al berlusconismo.

In effetti, una delle cose più sorprendenti è che tutto quanto è accaduto in Italia negli ultimi 15 anni è stato trasformato dal cavaliere in un vantaggio politico.

Il berlusconismo si è rivelato in ultima analisi una spugna capace di assorbire a ricomprendere ogni cosa. Non è forse in questo modo che un pensiero diventa egemone?

Assorbire, e anche risemantizzare (un passaggio del resto necessario per assorbire, e qui si veda il fondamentale lavoro apologetico del berlusconismo svolto dal revisionismo storico dei vari Vespa, i cui “frutti” sono ogni giorno più visibili: si vedano le incresciose dichiarazioni di La Russasul 25 Aprile).

Che cosa, in particolare, il berlusconismo ha riassorbito? Un piccolo elenco:

La difesa del “merito”. Il“post-fascismo”. Il culto della personalità del capo, solo aggiornato alla luce della “leggerezza” imposta
dall’era della televisione. I difetti dell’italiano medio. Il moralismo cattolico di facciata.

Sull’ultimo punto: il berlusconismo è chiaramente incompatibile con un cristianesimo autentico (o, più semplicemente, con qualunque cosa autentica); in compenso, ha dimostrato di sapersi sposare alla perfezione con il cattolicesimo di facciata, con perbenismo, perdonismo ecc.

I servi giammai padroni di se stessi lo ammirano, perché gli animi servili ammirano chi vince indipendentemente da come vince. Compendio di ogni arrivismo, egli suscita l’emulazione dei mediocri.



 

Domenica 5 aprile 2009
Il revisionismo compiuto 
 
L’estrema destra  xenofoba sfila per le strade di Milano

Oggi si svolge a Milano il convegno di Forza Nuova,  con annessa manifestazione, che ha suscitato l'allarme e desta ora l’apprensione del mondo civile ma che le autorità cittadine non hanno voluto ostacolare.

Vale la pena di ricordare, ancora una volta, chi dobbiamo ringraziare per questo  vergognoso risultato: i servi zelanti e gli apologeti del berlusconismo, gli“storici” di regime alla Bruno Vespa, che da anni portano avanti, con i megafoni
della televisione dell’intrattenimento, un’operazione culturale del più becero revisionismo storico, il cui senso è quello di mettere sullo stesso piano coloro i quali hanno militato nelle fila della Resistenza e chi sostenne il regime
fascista.

La pavidità (nella migliore delle ipotesi) del sindaco di Milano Moratti e la  condiscendenza del governo verso manifestazioni illiberali e xenofobe nel nome della libertà d’espressione, consumano un tragico equivoco, ma a questo punto  non sorprende: il disastro arriva da molto più lontano ed è il parto peggiore di un incessante lavorio.

Se non il processo, certamente i risultati sono sotto gli occhi di tutti e marciano per le vie di Milano. 


 


martedì 31 marzo 2009
Cronache dalla società post-democratica  italiana : berlusconiani della primissima ora e antiberlusconiani dell'ultima 

A pensarci bene,  c’è una sola cosa che trovo più esemplificativa del clima culturale che si è  instaurato nel Paese, rispetto ai berlusconiani della primissima ora: gli antiberlusconiani dell’ultima.

Osservando  con attenzione, si potranno vedere questi strani ibridi politico-civili fuoriuscire dalle fila di quegli indecisi quasi-perenni e per nulla lungimiranti che nel 1994 dicevano: “Ma perché non dovremmo lasciar provare anche lui?” e che  ora invece dicono: “Non è il mio presidente!”.
Questi campioni del qualunquismo hanno contribuito in modo decisivo a spostare per tre volte il consenso a favore di questo signore e soltanto ora, che il peggio si è palesato con le sue sembianze più ciniche, striscianti e spudoratamente illiberali, li vediamo dichiarare la loro sicura estraneità al fenomeno. Apoteosi del qualunquismo, vera e radicale
vittoria del berlusconismo!

 


martedì 10 febbraio 2009
Il silenzio negletto 
 
Non ci eravamo  sbagliati, purtroppo, nel ritenere che la costruzione della civiltà  dell’intrattenimento fosse organica a un preciso disegno politico. Non che ci fosse bisogno di chissà quali conferme per capirlo, perché questo processo è chiaro da tempo a chiunque sia disposto a vedere. Ma la conferma è stata delle  più eclatanti, con la strumentalizzazione del “caso Englaro” a fini politici,  oltre la sua tragica conclusione, che segna per molti aspetti un epilogo“logico” del berlusconismo.

Di questa vicenda, oltre al palese disprezzo delle più elementari regole democratiche da parte della maggioranza di governo, ha colpito il silenzio violato. Non è un caso, ma la risultante di un humus culturale che è stato lungamente coltivato. La civiltà dell’intrattenimento è costruita strutturalmente per invitare lo spettatore/elettore a pronunciarsi su tutto: “dì la tua su tutto”, anzi, di più, “facci sapere sempre la tua opinione, ci teniamo molto che tu possa esprimerla”. Nella grande democrazia mediatica c’è spazio per tutti, ognuno è rappresentato. Nessuno si deve sentire escluso. 

È il falso pluralismo dell’era della televisione, che in realtà confeziona adeguatamente la possibilità di scelta: o di qua o di là, una delle due, all’insegna della semplificazione del dibattito, della massima omologazione dei gusti, secondo le più collaudate tecniche del“giornalismo” televisivo imperante, che in realtà ricade del tutto all’interno del contenitore dell’intrattenimento. Tanto che i confini tra “informazione” e intrattenimento sono sempre più sfumati.

L’alternativa viene posta in modo netto: bianco o nero, e su questo lo spettatore/elettore è chiamato a pronunciarsi, ad esercitare la sua insindacabile libertà di giudizio; adeguatamente orientato però, ed è questo l’essenziale, verso una proditoria polarizzazione del dibattito su un binario prestabilito.

Al di là di quello che si dice, del cicaleccio, è anche ciò che non si tace più a caratterizzare la civiltà dell’intrattenimento. Il
silenzio diventa un disvalore: denota imbarazzo, impaccio, assenza di qualcosa da dire. Ne consegue che si possa dire qualsiasi cosa purché, appunto, si dica qualcosa. Le pause vanno assolutamente riempite, in ogni modo e a qualsiasi
costo: la televisione, e non la natura, nutre un assoluto, radicale horror vacui.


Ma quando il silenzio viene svuotato di significato anche la parola, inevitabilmente, perde il suo peso: diventa irriflessa, immediata, grossolana.

Ecco allora che l’affermazione della civiltà dell’intrattenimento, che di per se è un fenomeno antropologico, ha il suo
preciso correlato politico: lo svuotamento e l’impoverimento del dibattito, l’annullamento di ogni visione complessa e di ogni solida cultura politica, in nome della semplificazione; la scelta della proposta più gretta che viene somministrata allo spettatore/elettore ormai ridotto a un mero, pavloviano risponditore agli stimoli che gli vengono inviati. Cosi accade che in quel
gigantesco reality show in cui è stata trasformata l’arena politica, esattamente come in televisione, normalmente ha ragione chi urla più forte o, in ultima analisi, il proprietario.

Ed ecco l’epilogo: anche su Eluana ciascuno ha potuto dire la sua. Ciascuno ha potuto pronunciarsi anche sul dolore, sull’insondabile dilemma morale di suo padre, Giuseppe Englaro. Nella civiltà dell’intrattenimento,
ignorante e irrispettosa del silenzio, il corpo inerme di Eluana ha potuto essere oggetto delle più svariate intromissioni. Profanato dai fanatici della vita e destinatario delle volgari allusioni di un premier triviale e privo di qualsiasi senso delle istituzioni. Questo è l’esito di una civiltà dimentica del valore, di più della necessità, in alcuni casi, del silenzio. 
 
Dovrebbe riflettere moltissimo questa Chiesa, che è stata la prima e la più fanatica a violare quella sacrale e intima dimensione dove ciascuno risponde esclusivamente alla propria coscienza (Dio?), ciò che, se non ho inteso male, dovrebbe essere uno dei massimi valori del Cristianesimo – ma in fondo il problema sta proprio qui: a misura di una scissione del Cristianesimo a tutt’oggi non ricomposta, la  Chiesa cattolica, esteriorizzando la coscienza, rivendica il  monopolio della sua amministrazione. 

Ideologica, l’intromissione della Chiesa; cinicamente strumentale, quella della maggioranza di governo; comunque convergenti. Credo che il senso, o uno dei sensi, di tutta questa storia sia che, nella loro estrema diversità, il fanatismo delle gerarchie ecclesiastiche e il nichilismo berlusconiano in qualche modo si tocchino: dove il silenzio è distrutto non può
albergare altro che cinismo. 

Ora ci si accinge a fare una legge sul testamento biologico che era del tutto necessaria, ma sarà il parto del peggior retroterra culturale possibile.

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