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La crisi del '29 e il New Deal

​A giudicare dalle parole del presidente uscente, il repubblicano Calvin Coolidge, si direbbe che la crisi del '29, cioè la più grave crisi del capitalismo mai verificatasi fino a quel momento, non fosse nell'aria: 

 
 
 
 
 
 
Un fulmine a ciel (quasi) sereno

Un Congresso degli Usa non si è mai trovato in una situazione così favorevole come quella attuale. All’interno ci sono tranquillità, pace sociale e soddisfazione e le cifre primato degli anni della prosperità. All’estero c’è pace e buona volontà che deriva dalla comprensione reciproca.

 

(messaggio sullo stato dell’Unione pronunciato dal  presidente uscente Coolidge nel dicembre del 1928.)

[Apparenza e realtà: l'immagine  qui sopra riproduce il famosissimo scatto di Margaret Bourke-White, che ha il pregio di rendere visibile una contraddizione stridente. In primo piano, alcune persone sono in fila per il pane negli anni della crisi; sullo sfondo, una cartellonistica non rimossa esalta ancora lo stile di vita americano come il migliore di tutti]
 
 
La più grave crisi del capitalismo
Nonostante l'ottimismo ostentato da Coolidge, i segnali allarmanti nell'economia mondiale non mancavano. Ma vediamo quando, dove e perché esplose la crisi del '29 e quali furono i suoi effetti, sugli Stati Uniti e a livello globale.
 
  • Quando

La crisi viene innescata tra il 23 e il 24 ottobre 1929 dal crollo della borsa di New York e toccherà il suo apice nel 1932.

  • Dove

Esplose negli Stati Uniti ma, anche in ragione dei crescenti legami nell’economia globale, ebbe conseguenze su larghissima scala (particolarmente rovinose furono le conseguenze della crisi del ‘29 sulla Germania, la cui ripresa a partire dalle metà degli  anni Venti era largamente dipesa, come si ricorderà, proprio dagli aiuti degli Stati Uniti. La crisi del ‘29 è da considerarsi come una delle concause alla base dell’ascesa del  nazismo).

Vediamo ora il perché.

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Cause e conseguenze

 

La crisi del '29 fu determinata dall'effetto combinato di tre ordini di cause:

 

Il gioco in borsa. Le radici della crisi vanno cercate in primo luogo nell’euforia che aveva segnato gli anni Venti, con l’espansione del  capitalismo finanziario sempre più sganciato, però dall’economia reale. In questo contesto la speculazione borsistica assunse un carattere patologico, determinando una vera e propria febbre speculativa.

Lo squilibrio tra domanda e offerta. Negli “anni folli” la produzione industriale era cresciuta  enormemente immettendo sul mercato una serie di beni quali automobili, apparecchi radiofonici, elettrodomestici, per gli americani potevano ora acquistare a rate. I salari dei lavoratori, però, non erano cresciuti di pari passo ai redditi dell’industria e quindi per la maggior parte della popolazione non erano sufficienti ad allargare la sfera dei consumi. Inoltre, i prodotti succitati immessi sul mercato erano beni durevoli e questo alla lunga produsse un effetto di saturazione, senza considerare che il crollo della borsa di Wall Street ebbe effetti molto negativi sulle vendite a rate. Come conseguenza,  le imprese si videro costrette a ridurre spese e produzione e a licenziare lavoratori; ne derivarono una significativa contrazione dei salari e la drammatica impennata della disoccupazione.

La crisi agricola. Un altro degli elementi alla base della crisi del '29 va individuato nella crisi di sovrapproduzione agricola, che a sua volta va compresa in un quadro globale.  Durante la guerra, l’agricoltura statunitense aveva molto accresciuto la propria produzione ed incrementato il rendimento del suolo. La guerra europea era stato un buon affare per i Paesi esportatori di cereali: mercato più ampio, prezzi crescenti. Ciò aveva indotto i coltivatori statunitensi ad effettuare grossi investimenti mettendo a coltura nuove terre e aumentando la meccanizzazione nelle campagne. Per fare ciò, si erano fortemente indebitati con le banche. Nella seconda metà degli anni Venti, la progressiva ripresa dell’agricoltura europea fece venir meno queste condizioni favorevoli: prezzi calanti, minori guadagni, difficoltà o impossibilità nel restituire i prestiti. Molte piccole banche fallivano per il mancato rientro dei loro capitali.

Economia reale e economia finanziaria. Approfondiamo ora alcuni aspetti relativi al gioco in borsa. Anzitutto, cosa significa "febbre speculativa"? . Abbiamo visto come, nel corso degli anni Venti, l'industria statunitense fosse cresciuta notevolmente.  Molte grandi aziende erano quotate in Borsa, pertanto i risparmiatori potevano acquistarne le azioni. Acquistare le azioni di una azienda significa partecipare ai suoi utili. Inoltre, chi acquista delle azioni in un certo momento ad un prezzo x si aspetta di poterle rivendere dopo qualche tempo a un prezzo maggiore, realizzando un guadagno.  Sul finire degli anni Venti, nel generale clima di euforia che si respirava negli Stat Uniti,  sempre più persone presero a giocare in borsa, con la prospettiva di realizzare guadagni. Proviamo a lavorare sulla sensibilità economica generale e chiediamoci: su cosa poggia questa aspettativa? Essa si traduce in un concetto economico semplice ma fondamentale, quello di fiducia: chi acquista dei tioli sul mercato azionario, con l'aspettativa di venderli in un tempo successivo a un prezzo maggiore, lo fa sulla base della sua fiducia che l'azienda sia in salute e in crescita e, che, dunque, quei titoli saranno ancora appetibili. 

Un esempio semplice del concetto mi è capitato sotto gli occhi proprio in questi giorni in cui sto revisionando e integrando il testo di questo articolo (luglio 2024). Entrando in un supermercato vedo la scena un po' impietosa di un carrellino mobile pieno di gadget (trombette, bandierine ecc.) della nazionale di calcio appena eliminata dagli europei negli ottavi di finale, dopo aver perso per 2 a 0 contro la Svizzera. Con ogni probabilità quei gadget rimarranno ora invenduti, o per lo meno il venditore al dettaglio non realizzerà sul breve il guadagno che aveva preventivato grazie all'effetto immediato degli europei. La strategia commerciale che lo aveva portato ad acquistare un determinato numero di articoli della nazionale di calcio era stato dettato dal suo grado di fiducia nei confronti dell'azienda, che in questo caso è la nazionale. La sua fiducia, però, non si è dimostrata bene risposta, perché la nazionale ha fatto un flop

Ovviamente le cose funzionano in modo un po' diverso nel caso del mercato azionario, ma non molto. Da cosa è determinato il valore delle azioni di un'azienda? In linea di massima, dovrebbe corrispondere agli indici di produzione, quindi al valore reale dell'azienda, ma in realtà tende a svincolarsi da esso e ad essere determinato dal rapporto tra la domanda e l'offerta. In altri termini, più una azione è richiesta (domanda), più il suo valore nominale tende a salire. La febbre speculativa che si impadronì di molti americani alla fine degli anni Venti rese sempre più ipertrofico il valore nominale delle azioni e sempre più sganciato, quindi, dalla realtà. Nell'ultimo tratto degli anni Venti, immediatamente precedente la crisi, il valore nominale delle azioni crebbe molto più rapidamente degli indici di produzione, generando quella che nel linguaggio economico si chiama una bolla speculativa. Il problema delle bolle è che prima io poi scoppiano, quando il sistema raggiunge i suoi limiti strutturali di tenuta. Ma diversamente dalle bolle di sapone, quelle speculative quando scoppiano travolgono la vita di moltitudini di persone; è quello che accade nell'ottobre del 1929, con conseguenze rovinosissime.

 
                                                                               [fonte dell'immagine riprodotta qui sopra: https://startingfinance.com/]
 
 
Il "giovedì nero" e la spirale della crisi

Tra il 23 e il 24 ottobre (il giovedì nero) 1929, la borsa di Wall Street, il cuore finanziario degli Stati Uniti,  crollò. Il valore del mercato azionario si dimezzò di colpo, dopo settimane di corsa alla vendita dei titoli. Gli effetti furono catastrofici in primo luogo per migliaia di piccoli azionisti e risparmiatori, che si ritrovarono immediatamente sul lastrico (nel solo "giovedì nero si contarono undici suicidi collegati al collasso borsistico). Non meno pesanti furono le conseguenze per le aziende, che persero molto del loro valore azionario e si videro dunque chiudere i rubinetti del credito dalle banche, non avendo più garanzie da offrire. Molte chiusero, tutte diminuirono la produzione e operarono tagli ai salari e al personale. Il potere d'acquisto dei lavoratori e dei consumatori diminuì drasticamente e per altro rese loro impossibile far fronte alle rate che avevano contratto nel corso degli anni Venti. Come diretta conseguenza del crollo dei volumi di produzione, i prezzi al consumo diminuirono, ma la diminuzione del potere d'acquisto dei salari fu maggiore e dunque i consumi deperirono.

L'iniziale risposta alla crisi

Fu il presidente repubblicano Herbert Clark Hoover (1874-1964) a trovarsi in carica quando esplose la crisi. L’insieme delle risposte messe in atto si rivelò inefficace: furono forniti aiuti solo alle grandi banche, mentre la rete delle piccole e medie si sbriciolava, e aiuti statali alle imprese in difficoltà ma nessuna risposta strutturale alla povertà e alla disoccupazione, con la cura degli indigenti lasciata alle associazioni filantropiche e caritatevoli.

                                           [Il tasso di disoccupazione mostra come la crisi raggiungesse l'apice tra il '32 e il '33. Fonte: google]
Il New Deal

Si comprese a questo punto che le ricette classiche del liberismo non erano efficaci. Tra i maggiori sostenitori della

necessità di non lasciar deperire i consumi, anche se questo significava un onere a carico del bilancio dello Stato, fu l'economista John Maynard Keynes (1883-1946), che ispirò le politiche poste in essere dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt. L'azione dell'amministrazione democratica guidata dal presidente Roosevelt si espresse in un pacchetto di misure che prese il nome di New Deal ("nuovo corso", i cui punti qualificanti furono:

1) creazione di un Welfare State

2) lavori pubblici

3) intervento dello Stato nell’economia, nell’industria e nell’agricoltura,

4) riconoscimento dell’importanza dei sindacati

Le politiche di Welfare State, quali sussidi, sostegno al reddito e protezione della fasce più deboli della popolazione e e più colpite dalla crisi, unitamente all'avvio di lavori pubblici che generarono impiego, consentirono di rimettere in piedi il rapporto tra salari e prezzi , restituendo potere d'acquisto a lavoratori e disoccupati. Furono misure importanti per ridare sollievo a un gran numero di persone e per rilanciare l'economia, trasformando in virtuoso il circolo vizioso innescato dalla crisi e, amonte di essa, dalle politiche economiche basate sui dogmi del liberismo classico, che con la crisi aveva dimostrato i suoi limiti strutturali. Gli interventi predisposti ed attuati dall'ammiistrazione Roosevelt furono inoltre importanti perché inaugurano il cosiddetto Welfare State, che, in circostanze diverse, negli anni Settanta darà in Europa i suoi frutti migliori.

Ovviamente fu diretta conseguenze delle misure adottate con il New Deal la crescita dell'inflazione.

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